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L'alienazione del lavoratore nel capitalismo è un fenomeno che Karl Marx descrive attraverso quattro dimensioni: distacco dal prodotto del lavoro, perdita di autonomia nel processo lavorativo, deterioramento dell'identità umana e delle relazioni interpersonali, e alienazione economica come radice dell'alienazione sociale. Marx vede la religione come un meccanismo di controllo sociale e propone una visione materialistica della storia, dove i cambiamenti economici guidano la trasformazione sociale.
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Il lavoratore produce beni che non gli appartengono e che non può utilizzare, creando un senso di estraneità e impotenza
Il lavoratore esegue mansioni senza autonomia, perdendo l'identità e la passione per il proprio lavoro
Il lavoro diventa un'attività alienante, priva di spazio per la creatività e l'autorealizzazione, riducendo il lavoratore a un ruolo funzionale simile a quello di una macchina
Il lavoratore si trova in una posizione di subordinazione rispetto al datore di lavoro, generando un rapporto di dominio e sottomissione che altera le interazioni sociali
La condizione di sfruttamento del lavoratore è un riflesso dei rapporti di potere e produzione della società capitalista
La proprietà dei mezzi di produzione è il fulcro attorno al quale ruotano le dinamiche di potere e le disuguaglianze sociali
Marx sostiene che la religione sia utilizzata dalle classi dominanti per mantenere il controllo sulle masse, offrendo promesse di salvezza ultraterrena in cambio di obbedienza terrena
La frase "la religione è l'oppio dei popoli" esprime la concezione di Marx della religione come mezzo di oppressione che distoglie l'attenzione dalle ingiustizie sociali
Secondo Marx, le forze produttive e i rapporti di produzione formano la base economica di una società, su cui si innestano le sovrastrutture
Marx sostiene che i cambiamenti nella base economica portano a trasformazioni nelle sovrastrutture e, di conseguenza, nella società nel suo insieme