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La Grande Guerra vide l'Italia affrontare estreme difficoltà militari e politiche. L'esercito, composto in gran parte da contadini, lottò contro le fortificazioni austriache. La neutralità iniziale cedette il passo all'intervento dopo intense pressioni interventiste e le promesse dell'Intesa, portando a significative conseguenze politiche e sociali.
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L'Impero Austro-Ungarico aveva consolidato le proprie fortificazioni lungo il confine alpino e lungo il fiume Isonzo
Le fortificazioni si estendevano dal Trentino fino alle Alpi Carniche
Le fortificazioni erano posizionate in altitudine, rendendole difficili da penetrare per l'esercito italiano
Il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano, il generale Luigi Cadorna, ordinò diverse offensive nel settore orientale tra giugno e dicembre 1915
Le offensive si rivelarono costose in termini di vite umane, con oltre 60.000 caduti e 170.000 feriti tra i soldati italiani
Nonostante gli sforzi, le offensive non riuscirono a penetrare le solide difese austriache
All'inizio della Prima Guerra Mondiale, l'Italia dichiarò la propria neutralità basandosi sugli accordi della Triplice Alleanza
La società italiana era divisa tra neutralisti e interventisti, con quest'ultimi che sostenevano l'ingresso in guerra per vari motivi
La propaganda e le manifestazioni degli interventisti ebbero un ruolo significativo nell'influenzare l'opinione pubblica e le scelte politiche
Il re Vittorio Emanuele III e il governo guidato da Antonio Salandra erano inclini all'intervento, vedendolo come un'opportunità per accrescere il prestigio della monarchia
Le potenze dell'Intesa offrirono all'Italia promesse territoriali considerevoli in caso di vittoria
Il 26 aprile 1915, il governo italiano firmò il Patto di Londra con l'Intesa, un accordo segreto che non venne comunicato al parlamento