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La fondazione della monarchia costituzionale in Italia segnò l'inizio di un'era di trasformazioni. Con lo Statuto albertino, il Regno d'Italia del 1861 garantiva diritti civili e politici, ma limitava il voto a una minoranza. La Destra storica, al potere, promuoveva la laicità dello Stato e l'unità nazionale, mentre l'Italia affrontava sfide economiche e sociali, come il divario Nord-Sud, il brigantaggio e la nascita della mafia. Iniziative come l'ampliamento delle ferrovie e le leggi sull'istruzione miravano al progresso, nonostante le controversie come la tassa sul macinato.
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Nel 1861 venne proclamato il Regno d'Italia, che si basava su una monarchia costituzionale retta dallo Statuto albertino
Lo Statuto albertino, ereditato dal Regno di Sardegna, garantiva diritti civili e politici ma limitava il suffragio a una minoranza di cittadini maschi
Il diritto di voto era riservato a meno del 2% della popolazione, escludendo donne e non possidenti e richiedendo requisiti di reddito e alfabetizzazione
La Destra storica era composta da liberali moderati che sostenevano la laicità dello Stato, la separazione tra Chiesa e Stato e l'unità nazionale sotto una monarchia costituzionale
La Sinistra storica propugnava un approccio più radicale e democratico, ispirato alle ideologie di Giuseppe Mazzini e al movimento del Risorgimento
L'Italia post-unitaria si trovò di fronte a gravi sfide economiche e sociali, con un'economia prevalentemente agricola e un divario significativo tra il Nord e il Sud
Le infrastrutture erano inadeguate e il governo si trovò di fronte al compito di modernizzare e integrare le diverse realtà territoriali
Per consolidare l'unità nazionale, il governo adottò un modello di accentramento amministrativo, estendendo l'apparato burocratico e legislativo del Piemonte all'intero paese
Questa scelta, spesso criticata come "piemontesizzazione", mirava a creare un quadro istituzionale omogeneo e a contrastare le forze centrifughe, come il persistente potere dei Borboni nel Sud e le rivendicazioni del Papato