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Il delitto tentato nel diritto penale emerge quando un individuo inizia un'azione criminosa che non si conclude per motivi al di fuori del suo controllo. Questa analisi approfondisce gli elementi costitutivi, distinguendo tra tentativo incompiuto e compiuto, e considera le implicazioni della desistenza volontaria e del recesso attivo.
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Il delitto tentato si configura quando un soggetto inizia l'esecuzione di un reato che non giunge a compimento per cause indipendenti dalla sua volontà
Il diritto penale distingue tra tentativo incompiuto, in cui l'azione delittuosa è iniziata ma non portata a termine, e tentativo compiuto, in cui l'azione è stata completata ma l'evento non si è verificato
Non tutti i reati sono suscettibili di configurarsi come tentati, ad esempio sono esclusi dalla punibilità le contravvenzioni e i reati di pericolo
Per la configurazione del delitto tentato è necessario che gli atti posti in essere dall'agente siano idonei e non equivoci e che manifestino chiaramente l'intenzione criminale
La desistenza volontaria si verifica quando l'agente, avendo la possibilità di portare a termine l'azione criminosa, sceglie spontaneamente di non procedere, mentre il recesso attivo avviene quando l'agente impedisce volontariamente la realizzazione dell'evento dannoso
Il codice penale italiano punisce gli atti diretti in modo non equivoco verso la commissione di un delitto, senza operare una distinzione formale tra atti preparatori ed esecutivi
La pena per il delitto tentato è generalmente inferiore rispetto a quella per il reato consumato, ma è comunque prevista per sancire la riprovazione dell'ordinamento giuridico nei confronti dell'azione criminosa
Il diritto penale interviene punendo l'agente per la pericolosità sociale manifestata attraverso l'azione criminosa intrapresa
La pena per il delitto tentato sancisce la riprovazione dell'ordinamento giuridico nei confronti dell'azione criminosa, sia nella sua dimensione oggettiva che in quella soggettiva