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L'evoluzione del poeta, da mediatore divino nell'antichità a voce della crisi identitaria nella modernità, è un viaggio attraverso la cultura e la società. Figure come Orfeo, Baudelaire e Quasimodo mostrano come la poesia sia stata mezzo di memoria, espressione di alienazione e rifugio personale.
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Il poeta era visto come un intermediario tra gli uomini e le divinità, in grado di accedere a verità universali
La poesia era utilizzata come mezzo per tramandare la memoria, come dimostrato dalle opere di Catullo e Orazio
I poeti come Ugo Foscolo ambivano all'eternità attraverso i loro versi, come evidenziato nel suo "Dei sepolcri"
Le trasformazioni sociali hanno portato i poeti a interrogarsi sulla loro posizione nella società, come descritto da Charles Baudelaire in "Les Fleurs du mal"
Il Crepuscolarismo italiano, con poeti come Guido Gozzano e Sergio Corazzini, esprime il senso di distanza e alienazione del poeta dalle esperienze quotidiane
Aldo Palazzeschi si autodefinisce "saltimbanco dell'anima mia", rifiutando il ruolo tradizionale del poeta e rivendicando la libertà di giocare con le parole
In un'epoca segnata da incertezza e relativismo, Eugenio Montale esprime l'impossibilità per il poeta di offrire verità definitive in "Non chiederci la parola"
Giuseppe Ungaretti vede nel poeta colui che esplora le profondità dell'essere per emergere con nuove verità, mentre Alda Merini descrive l'ispirazione come un miracolo che nasce dalla profondità della mente
Salvatore Quasimodo, in "Alle fronde dei salici", esprime l'impossibilità di cantare in presenza del dolore e della morte, simboleggiando con le cetre appese ai salici il silenzio imposto dalla sofferenza
Wislawa Szymborska trova nella poesia una forma di redenzione personale, nonostante l'indeterminatezza che la caratterizza